Ti piace pensare che tu sei ciò che dici di essere vero?  Anche a me. Ma questo è un fatto reale molto meno spesso di quanto ci piaccia pensare. Mentre è sempre un fatto reale che noi siamo ciò che le nostre emozioni manifestano. Anche se all’esterno mostriamo di essere “risolti” (parola che va molto di moda) riguardo a un ambito della nostra vita, poi quel che conta è ciò che proviamo realmente in cuor nostro.

Quante volte la sofferenza nasce proprio dal non voler mostrare il nostro cuore, aka il nostro sentire? Una sofferenza subdola e strisciante, che impedisce la crescita della consapevolezza, del coraggio, dell’apprendimento e, quindi, della conoscenza. In nome di cosa? Della sicurezza, del restare “così come sono”, perché almeno così mi conosco, o meglio, conosco le mie reazioni agli eventi, le mie abitudini che contengono i miei pregi e difetti. Sì, bene. Ma forse il senso della vita non è essere quel che si è già. Ma essere quel che ancora non si conosce, e solo si intuisce. Attraverso l’esperienza, che è l’unica via reale di apprendimento, sbagliando e azzeccando, piangendo e ridendo. Alla ricerca costante di ciò che noi siamo già senza saperlo e che ci fa una paura tremenda il più delle volte.

La paura di sbagliare ossessiona le nostre notti interiori, che accompagnano i pensieri anche alla luce del sole. Ci spinge dentro un turbine emotivo che ruba la nostra attenzione dalla vita, spostandola sulla morte, la mamma di tutte le paure.

Dovremmo imparare a benedire l’errore. Anche quando fa male, anche quando ci rende confusi come le foglie nel vento. Perché è da lì, dall’errore, che possiamo saltare in nuove possibilità. Chi non teme l’errore, non teme la morte ed è invaso dalla vita. Inizia a fare con entusiamo (parola bellissima: en theos: avere un Dio dentro), anche quando sbaglia, anche quando è triste e stanco, anche quando tutto va storto. Perché sa che è un passaggio, niente di più. E, magari, è proprio il passaggio che manca per approdare ad un successo.

Il successo (che è un participio passato, non futuro, e questo può far riflettere) è il risultato di una serie di competenze e del cammino che le ha rese possibili. Alcune qualità le abbiamo già, come fossero innate in noi, altre dobbiamo svilupparle. L’unico modo per sviluppare qualità e competenze è quello di fare, sbagliare e imparare. Poi, raggiunto un nuovo livello, ne scorgeremo un altro possibile e poi un altro ancora. Proprio come camminando per il mondo, fra monti, colline, pianure… ogni luogo in cui ci troviamo ci può portare ad un altro luogo che gli è accanto. Dipende da noi stare fermi o muovere curiosi i nostri passi, conoscendo dove mi trovo ora e, quando sarà il momento, spostandomi altrove. Sarà la vita stessa a dettare e a mostrare i tempi. Facciamo pure i nostri programmi, ma con la consapevolezza che molto probabilmente ci sarà richiesto di modificarli e, tante volte, di improvvisare. Come un jazzista, faremo soli più belli o meno belli, ma sforzandoci sempre di essere sinceri.

Voglio chiudere questo articolo spostando l’attenzione da ciò che Siamo a ciò che Diamo. Anche se è un’azione abbastanza irrilevante, lo faccio per pura pignoleria!

Sì, perché il Dare è solo una conseguenza dell’Essere e non si può modificare. Se noi lavoriamo sul nostro Essere, modificheremo il nostro Dare. Se ho paura di non avere abbastanza soldi, non sarò mai in grado di svolgere un’attività per il solo motivo che amo farlo. Il mio pensiero (condizionato dal mio sentire) mi continuerà a bisbigliare all’orecchio, urlando se non lo ascolto, che così non va bene. Che così non si può campare. Lavorando sulla mia paura di non avere il denaro che mi serve per vivere, imparerò a fare quel che amo.

E, allora, sul mondo si muoveranno i piedi di una persona che dà agli altri il suo amore per la vita, la sua fede e il suo coraggio.

Non esiste morte per chi vive.

 

Un abbraccio entusiasta

Matteo