Se iniziassimo a considerare i problemi non come qualcosa da risolvere, ma come situazioni da vivere, avremmo risolto quello che interiormente, se ci riflettiamo con calma, risulta essere l’unico aspetto risolvibile: il problema dei problemi.
Il mondo esteriore, per come lo viviamo, è il riflesso esatto di come dentro lo interpretiamo. Ergo, è una questione di consapevolezza.
Io non mi considero privo di quelli che chiamiamo “problemi”. Cosa mi porta allora a parlarti di felicità che scaturisce dall’ascolto creativo? È il fatto che io sto già bene con tutti quei “problemi”.
Non ho bisogno di risolverli (e di risolvermi), né di dettare i tempi dei miei cambiamenti esteriori, per sentirmi felice e grato di essere in cammino nella vita. Questo è l’aspetto forse più difficile da cogliere nel lavoro interiore, poiché a livello teorico lo si può anche cogliere, ma a livello pratico richiede una vera e propria trasformazione energetica, con conseguente cambio di prospettiva. Un po’ come quei giochetti che una volta che ci dicono la soluzione diciamo “Ah, ma che minchiata!”; peccato che fino all’attimo prima non riuscivamo a venirne a capo.
La complessità della semplicità.
Il problema dei problemi inizia quando non assaporiamo la vita con costanza, decidendo che valga la pena di essere goduta solo quando ci appare piacevole e comoda. Ma così non funziona, nemmeno se sei miliardario e con gli addominali scolpiti, o con le tette (naturali) dure come due mele del Trentino.
Se sei felice, lo sei per come vivi la tua vita e non per quello che hai nella tua vita. Lo dicono proprio quei personaggi che hanno denaro e fama quando parlano di felicità. Poiché la felicità non è un canone, né un modello. La felicità è uno stato di apertura nei confronti di ciò che è qui e ora, mega sbattimenti inclusi.
Poi, l’appagamento esteriore (materiale, affettivo ecc.) potrà venire anche da sé, ma a quel punto non farà più questa gran differenza, perché ti troverà già felice.
Questa è la mia conquista, ed è ciò che insegno.
Un abbraccio,
Matteo